viaggio nel mondo dentro

quando parlo di mondo dentro, intendo quel mondo immobile e stantio dove vivono relegati, occultati e dimenticati, gli esseri che non brillano più per bellezza, gioventù, efficienza, salute, ricchezza. il canile lagher umano, dove nessuno entra per adottare nessuno. un luogo allucinante, dove il mio lavoro, per un decennio, si è svolto a fianco dei cosiddetti scarti della società. un'intimità ricca di insegnamento, che lascia una traccia sensibile e vibrante ancora oggi dentro di me. persone che mai potrò scordare e alle quali devo gran parte del mio percorso interiore. persone che mi hanno insegnato che la felicità è relativa sorridendo contenti davanti ad una minestrina che una sera prese il posto del solito, insipido semolino....


IL MONDO DENTRO

C’è il mondo fuori e il mondo dentro:
il mondo dentro è un’altra cosa.
Gli odori vecchi stanno ai dolori nuovi
come le tende verdi ai letti.
La tenera follia che ne trasuda
si respira e t’empie i bronchi.
Enzo ciabatta in giro e si spoglia
e tutti se li leva
e vuol levare anche i miei, bianchi.
Ha caldo solamente.
Niente lo frena di pisciare in giro
sui tavoli o sui letti
perché i colori son qui un colore solo
e tutte le stanze una.
-Levali tutti-
mi ripete
e balla un valzer stanco
con me che lo rimetto a letto.
Riparte
testardo e incaponito e scalzo
ciabatta coi calcagni e non lo frena ancora
ne il pannolone
ne la stanca camiciola
che certo non è sua
usata e tesa e stinta.
Di nuovo intorno gira
a testa bassa e senza meta
nel lungo corridoio che finisce
con Michele che dipinge
punti su punti che non capisce.
E lui confuso spiega
le gira e le rivolta quelle tele
-vedi qui il viso là la fronte e la fontana
ma io, povero, son qui-
Poi parte e batte il capo contro il muro
davanti e dietro per spaccarlo meglio
quel capo duro.
Ama Leona dagli occhi come stelle
persi nella follia
che qui si rosica il bello della gente.
Lei lo tocca e lo stringe e ci si sbatte contro
e anche me mi tasta colla curiosità del maschio.
Ma i suoi occhi persi ridono di lei
mentre lo dice.
La Deomira esce fuori da se stessa
con tubi e sacchi pieni
l’odore è sempre il suo più forte
la senti a naso che passa il corridoio.
-i figli qui non entrano-
dice la Manola cortese e permalosa dice
- i figli qui non entrano-
Marco distinto inglese viaggia in carrozzina
come tutti i suoi compari o quasi
salta e sobbalza se lo tocco appena
non percepisce più sui lati
le carezze le sbaglia per agguati
e i riti della sera suoi sono infiniti
tre dita il letto al muro ed il catetere
con due fiocchi poi bello legato
mentre Mario d’accanto chiama
che vuol uscir dal letto e andare nel suo.
Quando chiedo a Norma come va
risponde che l’ha fatto rammendare ieri
e l’Anna passa il tempo lieta
cogliendo i fiori dipinti sul vestito
e a strusciar coll’unghie rassegnati tovaglioli.
Luciano sogna un sonno coma vigile
e lungo - e rantola ma poco-
pensando corse in bicicletta da fare o fatte.
Gino-ragno s’arrampica ai cancelli
e rattrappito e secco ride e mangia
e sbava fili lunghi
colle cispe agli occhi.
Maria grida paranoia e noi con lei
-aiuto ho sete levatemi di qui
ho fame affogo correte
eccolo sto male dappertutto-
Stasera urlava -ho bisogno d’affetto-
Pino è su una carrozzina lunga come un treno
e sta piegato strano
racconta al sindaco come lo trattiamo
col sollevatore che lo porta in aria
e con un giro di giostra
lo leva da dov’è.
Ha occhi verdi e vivi e intelligenti
ma più giù cambia
per ricordarmi dove sono.
La Nerina guarda
col solo occhio che le resta - spento
e teme e trema e grida al pannolone bianco
come tartaruga capovolta
dondola nel letto rigida
e le spalle vanno dove le gambe stanno
su e giù in un mare mosso di paura.
La Lucia cammina e fa veder la pancia (ed altro) a tutti
-ma tanto- dice -è uguale al mio
ché l’avvocato non è venuto
ma se lo prendo lo vedi quello
e fa come ti pare, tanto...-
Gabriella chiama – vieni qui bella – (che mi fai?)
-ti mordo-
e la dentiera le è sparita
nel mondo strano che le aleggia intorno
ora graffia
forse domani
le spariran le mani.
La Norma picchia e scalcia
mentre Enzo ripassa
con un calzino fradicio di piscio in mano
e lo lascia lì per terra
morto.
Settembrina piange
ché l’ictus non la fa parlare
e incespica sulla solita iniziale.
Le piaghe sue stanno
come pozzi fondi all’osso
marcisce piano
senza far rumore.
Strana torre di Pisa la Leonetta
che va col vento e col vento si piega
secondo il giorno, il tempo, la natura.
L’Aurelia blatera sempre se ho visto il babbo
che poi si va a Schignano a portar la legna
e quello lì l’ammazza col fucile di vetta a scale.
I punti nella fronte son del volo
che ha fatto in carrozzina correndo dai tedeschi
e davvero è corsa quella sera
ma all’ospedale
e tra un punto e un altro punto era
col babbo suo a Schignano.

Ripassa la Manola e a testa bassa lagna
che i figli qui non entrano.

bea